Sapete quando si dice alla propria moglie (sfortunata): “Cara, esco a comprare le sigarette” e poi ci si ripresenta dopo mesi e mesi? Ecco, ora posso dire ai miei lettori, “Cari, sono tornato a casa, dopo mezzo anno, ma c’era traffico!”

A parte gli scherzi, dopo un bel periodo di inattività si torna a fare sul serio: ridiamo vita a questa creatura, un pò assopita, ma assolutamente viva e vegeta.

Ai prossimi post,

Michele

Non sono abituato a parlare di politica su questo blog, ma il caso Sky che sta tenendo banco in questi giorni mi impone alcune riflessioni sul modo in cui il nostro governo ha deciso, indegnamente, di raddoppiare l’iva sulle Pay Tv.

Parlare di conflitto d’interessi è talmente scontato che risulta francamente inutile: pur sapendo tutto ciò, l’elettorato italiano ha deciso di rieleggere Silvio Berlusconi e quindi ora ce lo teniamo. Come al solito, a pagare le bizzarre misure anticrisi saranno le famiglie abbonate a Sky: non si tratta di sceicchi o nababbi, ma di nuclei familiari normalissimi che vivono la crisi, abbonati per un bisogno di intrattenimento diversificato dal piattume che ci viene propinato quotidianamente anche dalle reti di proprietà Berlusconi.

Come sottolinea il sottosegretario all’Economia Luigi Casero, il momento di crisi richiede un sacrificio anche al comparto televisivo: sì, appunto, al comparto televisivo. Non di certo alle famiglie che vedranno aumentato il costo dell’abbonamento. Si parla di 4 milioni e 600 mila abbonati che dovranno sostenere spese maggiorate: non importa di quanto aumenti, anche pochi euro in più al mese sono comunque una tassa bella e buona.

Sky non fa concorrenza a Mediaset. Il governo si è dovuto adeguare alle direttive europee. E’ una legge giusta.

Qualcuno la pensa così, ma è doveroso ricordare che se ci dovessimo adeguare alle direttive europee, Rete 4 dovrebbe sparire. Potrebbe anche essere una legge giusta, ma non in questo contesto economico. E se Sky non fa concorrenza, non mi spiego il perchè delle agevolazioni sui decoder voluti dal governo che hanno favorito INDUBBIAMENTE la corsa al digitale da parte di Mediaset.

In fondo, non è nulla di nuovo: il solito “Italian Job”, ennesima dimostrazione che il vero conflitto d’interessi è tra il paese e la classe politica scelta. Più ci truffano e più ci piacciono.

Segue lo spot che Sky sta mandando in onda contro il decreto legge.

A leggere l’intervista che Luca Tiraboschi, direttore di Italia 1, ha rilasciato a La Stampa, si fa quasi fatica a credere ai propri occhi. Finalmente qualcuno che dice quello che pensa. E non importa se ci fa una pessima figura.

nuova-sede-italia-11A parte la valutazione incondivisibile sull’arretratezza del web rispetto alla tv generalista (spero davvero che sia stata una battuta), Tiraboschi risulta estremamente cristallino quando gli viene posto il quesito di quanto possa essere educativa la sua rete: al diavolo l’educazione, noi qui facciamo soldi. Con tanto di simbolo del dollaro che gli luccica negli occhi.

«Qui si fanno trasmissioni in cui mettere pubblicità. Noi garantiamo agli investitori circa tre milioni di spettatori mentalmente giovani»
. Peccato che mentalmente giovane non significa sorbirsi a bocca aperta il palinsesto “gggiovane” di Italia 1. Inutile rimarcare che di questi tempi, gli spettatori sono molto più consapevoli, multimediali e soprattutto esigenti: voglio contenuti personalizzati, innovativi, da fruire a piacimento (tutta roba che si trova sul web Dir. Tiraboschi, non su Italia 1).

Se internet sta colonizzando il mercato è perchè la tv generalista non ha più nulla di nuovo da offrire. Lei caro Direttore cosa ci offre di innovativo? Mr Lui? O i simpaticissimi promo in cui la gente si rende ridicola per urlare il nome della rete ed avere così 15 secondi di gloria?. Se queste sono le premesse, la vedo alquanto dura.

Ma in fondo non c’è da sorprendersi per le parole di Tiraboschi: sono discorsi da manager, discorsi legati ai profitti (sempre più in calo) dettati anche da un certo timore verso il nuovo che avanza. Anche se fa abbastanza riflettere la sua mancanza di attenzione verso il pubblico, semplici numeri da proporre agli investitori.

«Nel 2009 Mammuccari sarà protagonista di una fiction. E Chiambretti condurrà tre seconde serate sul tema dei numeri uno, ma potrebbe fare incursioni anche su Canale 5 o inziare su Italia 1 e dopo sei mesi cambiare. Enrico Ruggeri torna a Quello che le donne non dicono. Giorgio Mulé condurrà Borders, approfondimento del sabato di Studio Aperto su casi di cronaca italiani ed esteri. Poi vorrei un programma di news per giovani tipo Annozero».

Tanti ottimi motivi per NON accendere la tv.

Internet e la Tv: un connubio che si rafforza giorno dopo giorno, ma che non è esente da critiche. La mancanza (cronica) di chiarezza che imperversa nel nostro paese quando si parla di innovazione, ha reso davvero troppo semplicistico il discorso IPTV e si moltiplicano le “super offerte” che porterebbero facilmente nelle nostre case la libertà dell’intrattenimento video di matrice “internettiana”.

Ma siamo sicuri che sia così facile? Basta quella scatolina magica chiamata set-top-box a svecchiare la televisione nostrana? Nonostante i proclami entusiastici, la risposta è no: basta pensare che non è sufficiente avere un adsl (laddove ci sia) per godere di una IPTV ottimale. C’è bisogno di una struttura organizzata, capillare sul territorio, un network ben rodato che possa farsi carico di una distribuzione di contenuti multimediali facilmente accessibili. E se si parla di accessibilità c’è da stare poco tranquilli: ci sono pochissimi gruppi capaci di investimenti importanti nel campo della convergenza tra TV e Web. Il rischio reale è quello di vedersi vincolati al solito gestore, con una diffusione limitata ai grandi centri abitati (ma dire ai profitti sicuri sarebbe meglio): un ennesimo regalo al digital divide italiano.

La vera rivoluzione non è tanto quella della multimedialità (ormai anche le lavatrici sono multimediali), ma quella dei contenuti liberamente fruibili senza vincoli di “diretta”, dei palinsesti “open” a cui partecipa attivamente anche uno spettatore consapevole: ed è impensabile che un sistema attualmente “chiuso” come il set-top-box (anche se l’idea di un “aggregatore” hardware di contenuti non è affatto malvagia, anzi!),  possa essere il mezzo più adatto a veicolare tale rivoluzione.

big-set-top-box

Si sono spese molte parole sull’imminente “apertura” di Macy.it, web tv tutta italiana dedicata al mondo della musica: progetto fantastico, palinsesto altamente qualitativo sia per i contenuti sia per la qualità (streaming ad alta definizione), possibilità di inserire materiale audio-video prodotto dagli utenti e, naturalmente, possibilità di scegliere cosa vedere, con tanti canali tematici a disposizione a cui si aggiungeranno anche eventi live trasmessi in diretta grazie ad una regia mobile.

Le trasmissioni inizierano domani 17 ottobre: nell’attesa di vedere Macy.it, mi vengono in mente alcune semplici considerazioni. La prima riguarda quanto il web stia diventando terreno sempre più fertile per la vera creatività: solo sul web, infatti, possono trovare spazio idee e progetti che si avvicinano davvero alle esigenze reali degli utenti e Macy.it ne è un ottimo esempio.

Pensate davvero che anche qualcosa di lontanamente simile a Macy.it sarebbe potuta nascere in tv o sul Digitale Terrestre? La risposta è semplice, assolutamente no. Quelli sono il luogo del riciclo, del trito e ritrito o, comunque, del collaudato. Certo, la tv o il DTT non sono il massimo dell’interattività e per questo stanno perdendo colpi la prima e stentando (prevedibilmente) il secondo, ma, in fondo, non ci si è nemmeno provato più di tanto a fornire contenuti innovativi e i dati auditel sembrano confermare il poco appeal che tv e DTT hanno sugli spettatori.

Quello che mi fa ben sperare in un buon successo di Macy.it è la presenza di Massimo Cotto: non solo un grandissimo conoscitore di musica (forse il miglior critico musicale italiano), ma un personaggio molto più legato alla radio e alla musica che alla televisione e quindi più distante dalle antiquate logiche televisive. Paradossale forse, ma, a mio avviso, una web tv dovrebbe sempre discostarsi da personaggi troppo legati alla vecchia televisione (a meno che non se ne siano stufati quanto noi).

Personalmente mi aspetto grandi cose da Macy.it: non ci resta che aspettare domani per avere conferma della bontà del progetto diretto da Massimo Cotto. Nel frattempo da parte mia, in bocca al lupo!

L’estate televisiva italiana (a parte le olimpiadi di Pechino) è stata dominata da programmi che non hanno lasciato il segno, anzi, si sono fatti ricordare per un riciclo di contenuti esagerato, talmente evidente che cambiando canale si rischiava di dire “Ma…questo non era anche sul 5?”.

Se da un lato la tecnologia ha fatto passi da gigante, questo non si può dire per la qualità dei contenuti trasmessi: persino alcuni evergreen hanno perso lo smalto di un tempo. Come al solito, una vera spinta innovatrice latita: c’è chi rischia di compiere 90 anni in diretta col microfono legato al bastone, mucchi di avvenenti signorine tutte uguali (stanno diventando come i cinesi, impossibili da distinguere), formule riproposte fino alla nausea e tragedie/litigi/nudità/violenza che imperversano a gonfiare la vena voyeuristica dello spettatore medio.

Ma a che servono gli schermi piatti, l’alta definizione,  tv con prese usb integrate, servizi che porteranno widget in tempo reale sui nostri schermi quando si evolve solo il mezzo e non il contenuto? Manca il coraggio di un cambio di direzione radicale, il solo modo per non rendere insensata ed anacronistica un’integrazione tra web e tv (che non si è smossa molto dai programmi del mitico Mago Zurlì) che, comunque, prima o poi si dovrà fare.

Sempre che Mike Buongiorno non abbia già scoperto l’elisir della vita eterna: perchè se ce l’ha (e vuoi che non lo passi al suo “Gruppo di conduttori da ospizio”) siamo finiti. Allegria!

P.S.: vi consiglio di non mancare al dibattito “Frontiere della televisione: mouse contro telecomando”, in programma domani al Blogfest 2008.

Le Olimpiadi di Pechino non verranno ricordate solo per le tante polemiche che le hanno precedute, ma anche per la straordinaria copertura video che riceveranno. Non solo la Tv tradizionale o i canali satellitari: quest’anno la vera rivoluzione passa dal web e dalle ore di trasmissione in streaming che permetteranno di godere dei Giochi anche a Tv spenta (o assente).

RaiSport, in collaborazione con RaiNet ha realizzato il sito www.pechino2008.rai.it dove sarà possibile guardare tutte le gare che andranno in onda su Rai2 e sul canale del DTT RaiSport Più oltre alla presenza di altri sei canali che trasmetteranno singoli eventi in contemporanea, con la possibilità di “switchare” da uno all’altro. Un’offerta sostanziosa che, non solo affianca quella televisiva (che va dalle 2.30 alle 17.30 ora italiana), ma che si renderà appetibile ed autonoma per la sua interattività e per la capacità di coprire più eventi nello stesso momento alla quale si aggiungono anche i video di highlights, che potranno essere visti e rivisti a piacimento on demand.

E che dire di youtube.com/beijing2008, il canale di YouTube dedicato alle Olimpiadi che renderà disponibili 3 ore al giorno di immagini divise in clip della durata massima di 10 minuti: il servizio sarà disponibile solo per i 77 Paesi che non godono di copertura televisiva dell’evento olimpico, tra cui Nigeria, Corea del Sud e India (ci sarà un sistema di identificazione che bloccherà l’accesso al canale da altri paesi). Il team del portale video si è impegnato a vigilare sull’eventuale inserimento non autorizzato di video “olimpici” registrati da altri canali televisivi: dopo aver fatto i “conti” con Mediaset (o meglio, è Mediaset che ha cercato di fare un pò di conti per un assurdo risarcimento) è meglio stare in guardia: il Biscione è una brutta bestia e qualcuno potrebbe imitarlo.

Imporsi nel mercato mediale non è mai semplice: le offerte crescono, i canali si moltiplicano e la concorrenza rischia di tagliare le gambe a progetti ambiziosi che per mancanza di risorse non riescono a stare al passo dei rivali. Altro aspetto fondamentale che , secondo me, caratterizza il panorama italiano è la capacità di fruizione reale che non cresce parallelamente a quella potenziale: ci sono più canali vero, tante belle offerte super pubblicizzate, ma di certo non tutti possono abbonarsi all’IPTV (l’ADSL non è così diffusa e quella che c’è, a volte, è veramente ridicola a livello di prestazioni) e non tutti ricevono il segnale del DTT. Il mio caso è sintomatico: navigo con il doppino a 56Kb, sfrutto di rimbalzo (con numerose interruzioni) il segnale del DTT, abitando a soli 6 km da un capoluogo di regione (Campobasso), non nella tundra siberiana. Ed ho appena cambiato l’antenna.

Se queste forme di distribuzione video stanno sottraendo sempre più spettatori alla Tv generalista, devo, purtroppo, riscontrare che le quotazioni del P2P sono scese drasticamente: la colpa di questa mezza disfatta sta nel fatto che molti sono tornati a considerarlo solo un modo per scaricare illegalmente o per vedere eventi sportivi “a scrocco”.

Sono stati fatti grandi sforzi per “ripulire” l’immagine del peer to peer (nonostante la sua indiscussa legalità e utilità), ma la crescente gogna mediatica che lo ha colpito ha ridato al fenomeno quell’aria underground (in termini negativi) da cui si era distaccato a fatica e progetti di P2P-TV sono tornati ad essere additati come sistemi illegali e poco vantaggiosi sia per gli sviluppatori sia per chi vorrebbe investire: l’esempio più eclatante è rappresentato da Streamerone, software tutto italiano che ha dovuto darsi un prezzo, 3€.

Per quanto simbolici, sono la conferma di una situazione tutt’altro che rosea: non mi resta che sperare in Next.

UPDATE

Dopo aver letto il post di risposta di Petrescu, mi sono accorto che qualche mia affermazione non è stata compresa fino in fondo: DTT e IPtv non stanno “uccidendo” il P2P, ma ne stanno minando una base già di per sè non molto solida. Tante persone, anche spaventate dalla scarsa geolocalizzazione dei programmi (il cinese e l’inglese la fanno da padroni), preferiscono guardare una tv che si è sì arricchita grazie a DTT e IPtv, ma che, come ho cercato di spiegare, sono tecnologie che ancora tagliano fuori una fetta di utenza.

Le cause della crisi sono molteplici e non si esauriscono con il ruolo di DTT e IPtv, come analizza anche Petrescu, ma dalla mia esperienza in giro per i forum, ho avuto modo di notare dei giganteschi passi indietro nella considerazione verso il P2P e le P2Ptv: ah sì, mi vedo le partite a “scrocco” ma poi accendo la tv. E da qui è nata la delusione che mi ha spinto a scrivere il post.

Mi scuso se qualche passaggio non è stato chiarissimo.

Torno dall’Olanda, cerco di riconnettermi con il mio paese (un pò a malincuore a dir la verità) e mi vedo spuntare il logo di una fantomatica Rai 4. Dopo il momento di confusione iniziale, mi sono informato su questo nuovo canale. Freccero ha avuto una buonissima idea: un mix interessante di serie tv americane di buon livello e film decisamente più incisivi rispetto a quello che la Rai ci propina di solito. Nonostante si sia puntato su un target giovane, attento a quello che si dice in rete, sono sicuro che anche la generazione dei trentenni potrebbe trovare spunti interessanti dal palinsesto di Rai 4 (complimenti per l’originalità).

Ma lanciare un nuovo canale su una tecnologia (controversa) come il Digitale Terrestre dovrebbe essere un modo per esaltarne le potenzialità: Rai 4 rischia, invece, di dare nuove ragioni di protesta ai suoi detrattori. Il canale trasmetterà sul mux A che non offre una copertura ottimale a tutto il territorio italiano; c’è poi chi (come me) riesce a sfruttare il segnale di altri comuni più grandi e non ha la certezza di una visione regolare.
Insomma, da Rai 4 si passerebbe a Rai 4 Gatti (esagerando un pochino): un esempio eloquente è la regione Sardegna, dove, dopo la chiusura di Rai 2 (in analogico) dal 16 novembre 2007, la copertura del DTT copre una buona fetta della popolazione, ma qualcuno rischia di non vedere nè Rai 2 nè Rai 4, pagando regolarmente il canone per un’offerta “mutilata”.

Combattere il digital divide significa permettere a chiunque l’accesso ad una tecnologia o ad un servizio ad essa connessa e Rai 4 non è certo all’altezza della situazione: speriamo sia solo un difetto legato alla sua nascita e non un fattore dominante della sua storia futura.

Oggi è il giorno di Arrakis: 17 blog italiani sono stati oscurati simultaneamente per dar spazio ad Arrakis, un documentario di tributo ai luoghi e alle vittime del progresso industriale italiano, un tributo a quelle persone che hanno sofferto in nome del progresso e a quei luoghi che sono stati incredibili simboli di quello stesso progresso.

L’obiettivo comunicativo non è informare, ma emozionare.

Collegati ai blog oscurati:

Puoi seguire tutti gli update di Arrakis su http://arrakis.vh5n1.net